Dieci anni sono circa un ottavo della speranza di vita di un individuo alla nascita, e quelli che stanno alle nostre spalle non sono stati particolarmente felici per gli investitori che hanno scelto strumenti azionari. Decenni come quello passato minano alla radice la convinzione – già poco diffusa tra gli italiani – che le azioni rendano di più delle obbligazioni nel famoso "lungo periodo".
Che per qualcuno – probabilmente mal consigliato – il "lungo periodo" e la pazienza siano andati esauriti solo dopo pochi mesi è fuor di dubbio. Ma resta il fatto che quello che poteva essere il grande passaggio del risparmio degli italiani dal reddito fisso alle Borse è naufragato anche perchè è coinciso con l'inizio di uno dei peggiori decenni che la storia ricordi per gli impieghi azionari. Piazza Affari, al netto dell'inflazione e con i dividendi, ha reso zero, e così è andata pure a Wall Street. Se da una parte è vero che in altre finestre decennali è andata ancora peggio, è altresì chiaro che un ritorno reale nullo è deludente perchè, tenuto conto della rischiosità tipica dell'investimento azionario, corrisponde a un risultato totalmente inefficiente dal punto di vista finanziario.
C'è ancora spazio per i "cassettisti" dopo il pessimo decennio 1998-2008? Gli storici delle Borse risponderebbero di sì, a maggior ragione adesso che si può sperare nel "ritorno alla media" (mean reversion), nel fatto cioè che gli indici tendono a recuperare le sottoperformance (e a correggere dopo le sovraperformance). Due le strade: la prima è di comprare direttamente i mercati, con Etf o fondi. La seconda è di fare selezione di azioni, soluzione più rischiosa che richiede tanta preparazione. E che, a guardare i rendimenti annualizzati a 10 anni delle blue chip di Piazza Affari può portare a grandi soddisfazioni (24% all'anno per Saipem, 12,4% per Eni), o a solenni tosature (-9,6% all'anno per Telecom Italia, -8,5% per Fiat).